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Le pietre angolari del governo fiorentino
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Le pietre angolari del governo fiorentino

palazzo del potere vecchioUna caratteristica costante della storia di Firenze è l'importanza, sia letterale che simbolica, dell'architettura come una dimostrazione vivida del potere e autorità politica. La coltivazione della influenza sociale e culturale della città ha mostrato l'evoluzione concreta dei suoi edifici civici come specchio perfetto dell'evoluzione delle sue idee ed ideali rinascimentali: un movimento verso l'alto attraverso le "tre età" secondo la concezione Vasariana della storia fiorentina.

Inoltre questa confluenza dell’architettura e del potere politico gettò fondamenta ferme per una vera e propria torre salita alle stelle del patrimonio culturale. I governatori della città, attraverso il loro incoraggiamento, fornirono un contesto e uno spazio per il rapido progresso artistico; infatti l'effetto del loro patrocinio può essere facilmente paragonato ad uno spazio veramente palaziale, riempito di scale per gli artisti da ascendere nella loro progressione tecnica e stilistica, e gli stragrandi cortili in cui per ricevere e raccogliere diversi movimenti ed approcci alla pittura e alla scultura. Tuttavia, sopra tutti gli altri in città, si potrebbe affermare ci siano due edifici più rappresentativi dell’ethos politico e civico della città del Rinascimento: il Palazzo Vecchio e il Palazzo Pitti.

Fin dai suoi primi giorni la Repubblica Fiorentina cercò di stabilire una sede distintiva ed impressionante del suo governo. Nel 1299 questo sogno fu realizzato dal Palazzo della Signoria, oggi conosciuto comunemente come il Palazzo Vecchio, un venerabile nido per accogliere l’aquila crescente del potere guelfo della città, un nido risorto e trasformato dai resti di una dimora di ribelli ghibellini, che forniva la sicurezza ed il nutrimento per gli ideali ben amati del repubblicanesimo, la sintesi intellettuale civica dell'umanesimo derivato da illustri pensatori come Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. Infatti, in questo senso, il Palazzo Vecchio, come monumento agli ideali dell'umanesimo, è stata una fiamma inestinguibile, la quale ha infiammato la capacità di immaginazione dei politici, poeti e filosofi di tutto il mondo. Ciò è particolarmente importante nelle idee del celebre pensatore cileno, Pablo Neruda, che, nella sua splendida poesia 'La Città', scritta durante la sua permanenza a Firenze, alimenta con grande entusiasmo questi braci delle nozioni di libertà e di equilibrio sociale: “E quando in Palazzo Vecchio, bello come un’agave di pietra, salii i gradini consunti, attraversai le antiche stanze, e uscì a ricevermi un operaio, capo della città, del vecchio fiume, delle case tagliate come in pietra di luna, io non me ne sorpresi: la maestà del popolo governava”.

In uno degli stemmi del ballatoio del palazzo possiamo osservare la grande aquila della Parte Guelfa e ne cogliamo la chiara visione della trasmissione dei concetti della vita pubblica, etica e sociale dal nucleo della politica umanistica: il Palazzo Vecchio. Allo stesso tempo, questo edificio venerabile e amato ci testimonia la gamma e l'ampiezza più estensiva della vita fiorentina: il volo di questa grande aquila rossa del potere civico è stato perennemente sostenuto da una corrente d'aria fatta di fervore culturale e innovazione artistica. Questa abile fusione della politica e l’arte è abbondantemente evidente, per esempio, nel grande Salone dei Cinquecento. Costruito da Simone del Pollaiolo nel 1494, e successivamente sviluppato e impreziosito da Giorgio Vasari, che è stato dotato da artisti importanti con i vasti affreschi che raffigurano eventi famosi nella storia di Firenze. Ad esempio: ‘La presa di Siena’ e ‘La vittoria di Cosimo I a Marciano in val di Chiana’. Questo modello di abbellimento e raffinatezza artistica si estese a tutte le stanze del Palazzo grazie al contributo di figure eminenti come Bronzino, Giambologna e Giuliano da Maiano. L'edificio diventò un vero e proprio ‘melting pot’ di diversi stili di pittura e scultura. Il risultato di questa vasta interpenetrazione tra il governo e l’arte, sostenuta dagli ideali classici e rinascimentali della libertà, dell’armonia e della sapienza, è che Palazzo Vecchio è divenuto un esemplare concreto della nuova età dell'oro, rappresentando l'autentico spirito classico e riecheggiando in molti modi le parole di Pericle nella sua famosa Orazione Funebre: “Con grandi prove presentiamo una potenza che non è certo priva di attestazioni, degna di essere ammirata sia dai contemporanei sia dai posteri”.

Tuttavia la nostra storia non finisce qui. Riflettendo lo stesso tema duraturo dell'architettura nella vita politica di Firenze, questo impeto culturale si diffondeva fuori dal suo centro storico in Piazza della Signoria. Dal suo antico nido l'aquila stese le ali, attraverso il venerabile fiume d’Arno, fino a nuovi terreni. Questo nuovo crogiolo, questo fermento culturale si trova nella zona sud del fiume - l'Oltrarno - e il suo bastione divenne Palazzo Pitti. Fu una decisione di buon auspicio: anche prima dell'inizio della proprietà dai Medici nel 1549, l'edificio, con il patrocinio di Luca Pitti, fu veramente timbrato con il marchio del genio del primo Rinascimento: Luca Fancelli. Il progetto abbonda dell'ispirazione del suo vecchio maestro, il celebre Filippo Brunelleschi, oltre che il grande teorico dell'architettura Leon Battista Alberti. Inoltre, durante il periodo dei Medici, continuò ad essere un ambiente per la coltivazione di nuove forme della dinamica tra governo e arte; un terreno fertile per le nuove fioriture e non solo nello splendido Giardino dei Boboli! Da questa nuova sede, i governanti della città continuarono ad incoraggiare la fioritura delle arti: non solo la pittura e la scultura ma anche la letteratura, la progettazione di giardini e il teatro grazie ad alcuni drammi anche eseguiti nel teatro di Boboli.

Per comprendere appieno il collegamento simbolico di questi due grandi palazzi istituzionali - Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti - dobbiamo considerare la figura che ha orchestrato il loro collegamento fisico: Giorgio Vasari. Nella sua progettazione ed esecuzione del famosissimo Corridoio Vasariano, il quale si estende per tutta la strada tra i due edifici attraverso gli Uffizi, il Ponte Vecchio e l'Oltrarno, in un certo senso ha creato un monumento agli ideali del governo civico quale catalizzatore di sviluppo culturale e di progresso sociale. Vasari, scrivendo nella sua autobiografia alla fine della sua vita, offerse questo commento sul rapporto col suo patrono Cosimo I: “…non dirò di me altro, se non che per grandi e d’importanza che sieno state le cose che ho messo sempre innanzi al duca Cosimo, non ho mai potuto aggiugnere, non che superare la grandezza dell’animo suo”. Proprio come il nido dell'aquila deve di volta in volta essere rifornito e rinnovato, così anche questi grandi edifici fiorentini non devono essere contenti di essere musei, ma puittosto monumenti viventi dei grandi ideali del Rinascimento.

 

 

Autore

Oliver Hickman

 

 

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